di Giuliano Foglia, docente e socio fondatore di Foglia & Partners
Definire regole fiscali omogenee e razionalizzare il trattamento fiscale di proventi finanziari attraverso l’identificazione di un’unica categoria reddituale in cui confluire tutti i redditi derivantia qualsiasi titolo, dall’investimento in strumenti finanziari: questo è uno degli obiettivi della legge delega per il riforma fiscale ora al vaglio parlamentare.
L’attuale quadro normativo, infatti, convoglia i proventi degli investimenti effettuati dalle persone fisiche due diverse categorie di reddito: da un lato, il “reddito di capitale”, tipicamente derivante dall’impiego “statico” di capitali, quali, ad esempio, dividendi, interessi, proventi da OICR, ecc.; dall’altro il “altri proventi di natura finanziaria”, derivante, peraltro, dall’utilizzo “dinamico” sul mercato dei capitali, suscettibile di determinare differenziali positivi o negativi in funzione di un evento incerto, quali le plusvalenze derivanti dalla vendita di strumenti finanziari a titolo oneroso.
Considerando l’utilizzo del capitale – statico o dinamico – come fattore comune a queste forme di arricchimento, il Governo ha delineato un progetto di riforma volto a razionalizzare la sua disciplina fiscale con l’attribuzione di tutte le cause fiscalmente rilevanti all’ad un’unica categoria di redditoin modo da facilitare una maggiore calibratura della tassazione sull’arricchimento reale, semplificando il sistema nel suo complesso.
L’unificazione dei redditi di natura patrimoniale in un’unica categoria reddituale porterà con sé importanti e vantaggiose conseguenze.
Le conseguenze dell’unificazione delle entrate finanziarie
In primo luogo, consentirà di applicare a detti redditi un’unica disciplina tributaria, sulla scia di una delle linee guida che fanno da filo conduttore alla riforma, la certezza e la semplificazione della normativa tributaria. Inoltre, sarà possibile correggere alcuni punti critici della normativa vigente: in primis, l’impossibilità di tassare i redditi di capitale al netto dei costi inerenti alla loro produzione e delle relative perdite e l’impossibilità di procedere alla compensazione di tali redditi con gli eventuali differenziali negativi derivanti dalla vendita di strumenti finanziari.
Per effetto della creazione dell’unica categoria reddituale per i redditi di natura patrimoniale, dunque, questi saranno tutti assoggettati ad imposta indistintamente secondo il “principio di cassa”, in ragione della quale tali redditi avranno rilevanza fiscale nell’anno del loro pagamento o realizzo, con la possibilità di considerare (e, quindi, dedurre), nel calcolo della loro base imponibile, anche i costi e i relativi oneri, in oltre alle eventuali perdite (incluse quelle derivanti dalla partecipazione in società estinte per liquidazione o dal recesso o esclusione del socio). Più in generale, nell’ottica di una significativa semplificazione del sistema, l’attribuzione delle fattispecie imponibili ad un’unica categoria reddituale consentirà di compensare redditi e plusvalenze con eventuali differenziali negativi realizzati (possibilità oggi consentita, a determinate condizioni, esclusivamente nel regime del risparmio gestito), andando a tassare esclusivamente il risultato complessivo “netto” conseguito nel periodo di riferimento, ottenuto dalla somma algebrica delle componenti positive e negative di proventi finanziari fiscalmente rilevanti secondo il predetto criterio di cassa.
Sulla base imponibile così determinata sarà applicabile un’imposta sostitutiva, che il contribuente sarà tenuto a liquidare – in linea di massima – in sede di dichiarazione dei redditi, potendo riportare eventuali eccedenze negative nei periodi successivi.
In alternativa, il contribuente può optare per l’applicazione diretta delle imposte da parte degli intermediari finanziari con i quali si intrattengono rapporti stabili, eliminando così anche gli obblighi di carattere dichiarativo nei suoi confronti. Tale possibilità non solo rappresenterà un’opportunità di semplificazione per i contribuenti, ma porterà con sé ulteriori aspetti positivi, in quanto, sostituendo le attuali opzioni per i regimi del risparmio amministrato e del risparmio gestito, dovrebbe preservarne i rispettivi pregi e colmarne le carenze. In particolare, oltre all’estensione della possibilità di compensare risultati positivi e negativi (attualmente disponibile solo nel risparmio gestito), l’adozione generalizzata per l’intera categoria reddituale del suddetto principio di cassa – tipico del sistema del risparmio amministrato – segnerà la abbandono della tassazione sul cosiddetto “maturato”, che rende tassabili anche i differenziali non ancora realizzati (ma emergenti dalla mera somma algebrica tra il valore del patrimonio gestito alla fine di ogni anno solare e quello di inizio) base annuale.
Le premesse, quindi, sono sicuramente molto positive. Le previste linee di intervento sui redditi di natura finanziaria – se attuate – determinerebbero non solo un sistema fiscale economicamente più vantaggioso (oltre che più aderente al principio costituzionale della capacità contributiva) per il contribuente, ma anche, a a livello sistemico, in un ulteriore (e significativo) tassello di quell’ambizioso e non banale disegno di semplificazione del sistema fiscale che, in ultima analisi, il piano di riforma mira a realizzare.