di Gian Emilio Osculati, presidente di Nuova Finanza Srl
Appena possibile, l’entrata in campo del Ministro Giorgetti a favore dello sviluppo del mercato finanziario italiano (il cosiddetto “DdL Giorgetti”) darà vita a una normativa ampiamente innovativa per il nostro Paese. Le misure previste, che vedremo frettolosamente nelle righe successive, sono importanti perché segnano finalmente una maggiore attenzione al sistema delle imprese senza, allo stesso tempo, mettere seriamente in crisi i conti pubblici come prima faceva il 110 per cento per la ripresa dell’industria delle costruzioni o le garanzie rilasciate, utilissime, tramite il Mediocredito Centrale per sostenere l’impresa media italiana.
Le misure del 110 per cento, lo sapevano tutti, hanno generato valanghe di frodi, hanno creato pochi posti di lavoro nell’edilizia (che rimarranno?) a un costo vertiginoso e hanno permesso di riscuotere l’Iva sui generi alimentari dei meno abbienti finanziare l’abbellimento dei condomini dei benestanti. Le garanzie date da Mediocredito sono state per molti versi provvidenziali, ma forse abbiamo peccato in generosità. Ora, con il nuovo DdL, finalmente si creano sostegni alle imprese senza minare i conti pubblici. Ma con il “DdL Giorgetti” il nanismo e la capacità competitiva delle nostre imprese non cambieranno. Né molte società si rifiuteranno di quotarsi nei Paesi Bassi, se non altro perché coloro che avevano interesse a quotarsi lì lo hanno semplicemente già fatto.
Il primo obiettivo del disegno di legge in questione è quello di facilitare l’accesso alla Borsa. Quindi, procedure di ammissione più semplici, minori oneri di quotazione, più investitori istituzionali abilitati ad investire. Il secondo obiettivo è la creazione di una governance più amichevole; quindi tra l’altro la disponibilità del voto plurimo e una nuova disciplina per gli aumenti di capitale. Il terzo obiettivo è una vigilanza semplificata, con minori responsabilità per le autorità di controllo. Quarto ed ultimo obiettivo, questo importantissimo, è l’obbligatorietà dell’educazione economica e finanziaria durante gli anni scolastici. Su quest’ultimo punto si può solo dire: “era ora!”
Tuttavia, il presupposto concettuale del DdL è che la società ha un naturale desiderio di quotarsi (se le circostanze lo consentono, ovviamente) ma ci sono problemi che lo ostacolano e che devono essere rimossi. Ma questa premessa concettuale rischia di essere seriamente sbagliata. Un’ipotesi alternativa, forse più realistica, è che la società in questione abbia ben poco interesse a quotarsi e che ci vorranno anni perché questa negatività venga rimossa. Ecco i motivi.
La borsa italiana ha invariabilmente e per decenni sottoperformato. Cento dollari investiti trent’anni fa sullo S&P 500 (…nemmeno sul Nasdaq!) oggi valgono 23 volte tanto, ma solo 5 volte tanto se investiti nel resto del mondo occidentale, un po’ di più in il Regno Unito, molto meno in Italia, la Cenerentola d’Europa. Inoltre, la presa sorprendentemente forte della magistratura su alcune importanti questioni di borsa spaventa tutti. Nessuno ne parla, ma il tema c’è. Lo spirito romantico dei “Condottieri” degli anni ’90 (De Benedetti, Gardini, Colaninno, altri) si è dissipato. Qualche brutto scivolone nei settori più disparati (banche di grande stirpe, imprese edili, società sportive, altri) non hanno aiutato e non aiutano tuttora l’immagine della Borsa. L’altissima immagine dei responsabili oggi dell’Autorità di Vigilanza, da sola, non basta. A ciò si aggiunge che i consulenti di lunga data dell’imprenditore (il commercialista, l’avvocato, ecc.) temono di perdere il cliente se questo diventa pubblico. Non basta, la quotazione in Borsa va bene al giovane imprenditore che ha obiettivi ambiziosi, ma la nostra gerontocrazia locale sforna ben pochi giovani imprenditori.
Se si vuole davvero incidere sulla struttura industriale italiana, spargere incentivi vari su una popolazione vasta e indifferenziata di imprese non è probabilmente l’approccio più efficace. Abbiamo strutture e management di alto livello in molti settori in cui il nostro Paese ha già un vantaggio competitivo. Gli incentivi devono essere concentrati in questi settori, lasciando alle spalle il nanismo imprenditoriale e creando “campioni nazionali” competitivi a livello globale. L’incentivo più forte è senza dubbio la leva fiscale (meno tasse!) applicata a chi ha tassi di crescita più alti degli altri, ottenuti organicamente o meno. Serve un utilizzo degli strumenti CDP molto più consistente rispetto a quanto previsto dal DdL. Serve un sostegno fortissimo da parte di Sace, anche oltre le previsioni del perimetro attuale, e di Invitalia. Infine, è necessaria la cosa più difficile: scegliere. Scegliere quali settori e quali aziende sostenere nella corsa per diventare campione nazionale e quali altri settori sostenere con leve meno costose (vanno bene in questo senso quelle del DdL). Niente è facile.