Svegliatevi, ragazzi: il welfare aziendale non è una caramella paternalistica da usare per tenere tranquilli dipendenti preziosi e imbronciati, non è un’offerta a buon mercato sull’altare della pace sociale in azienda. Usato bene, il welfare aziendale oggi è formidabile strumento di competitività. Ma solo poche aziende riescono a cogliere queste opportunità e soprattutto a comunicarle in modo efficace ai dipendenti attuali e potenziali.
Ne è convinto Stefano Castrignanofondatore e CEO di Welfare italianoprimaria società di consulenza specializzata in welfare advisory (supportare le imprese nell’utilizzo ottimale degli istituti di welfare aziendale) ma anche in sanitaria integrativa e dentro pensione complementareche costituiscono due pilastri importanti di questa galassia per molti confusa e lontana ma ormai centrale nei desideri delle persone: o almeno dei fortunati come noi che vivono nei paesi industrializzati.
“Oggi le nuove generazioni non hanno più l’assolo come priorità assoluta stipendioo come si dice in gergo, il livello salariale – spiega Castrignanò in questa intervista a Economia – ma cercano un modello di equilibrio vita-lavoro ed esprimono una serie di bisogni che rappresentano ormai i bisogni più espressi dai lavoratori e che rientrano a pieno titolo nel nostro modello di valutazione e gestione del welfare”.
Ci stai dicendo che per trovare talenti o per mantenerli non basta più, come in passato, pagarli un po’ meglio dei tuoi concorrenti ma che devi coccolarli?
Esattamente. A volte la leva salariale potrebbe bastare, se non fosse largamente inefficiente a causa del cuneo fiscale. Oggi, per permettere a un bravo impiegato di intascare 100 euro, un’azienda ne spende tra i 220 e i 250. A bagno di sangue con effetti modesti. Invece, facendo buon uso degli strumenti del welfare…
Quindi il welfare aziendale – per intenderci: dai buoni pasto alle polizze sanitarie integrative – sono espedienti legittimi per offrire occasioni di benessere parzialmente esentasse?
Dichiarazione breve ma veritiera. Certamente negli ultimi anni queste categorie di strumenti di gestione del personale hanno avuto una crescita importante anche perché hanno permesso di aggirare il problema della cuneo fiscale. Ma c’è molto di più in questo successo.
Che cosa?
Nel sistema aziendale si sta facendo strada una nuova sensibilità, un nuovo principio per la gestione delle persone, che accomuna le sostenibilità al benessere. Veda, dobbiamo prendere atto che la sostenibilità (il famoso fattori ESG) è un termine inflazionato e alquanto frainteso. Mentre i valori indicati dalla lettera “E”, che sta per ambiente, sono praticati o almeno simulati, quelli riassunti dalla lettera “S” dei social sono quasi sempre più trascurati. Ma pesano, contano! E siamo in grado di far capire alle aziende che chiedono il nostro supporto quanto sia utile attuare i valori sociali attraverso il welfare aziendale, che diventa un importantissimo vettore di sostenibilità.
Fateci qualche esempio… non si parla di buoni pasto!
Nono. Senza nulla togliere a quello strumento, per quanto prezioso, pensavo ad esempio alle badanti, cioè a tutti coloro che, in quanto dipendenti, sono coinvolti nel problema della non autosufficienzao perché hanno un problema di invalidità temporanea o perché si prendono cura di un familiare bisognoso di assistenza. Ormai in quasi tutte le famiglie, visto l’aumento della longevità nel nostro Paese, ce n’è almeno una badante, assorbito da tanti impegni. Ebbene, sensibilizzeremo le aziende su una serie di servizi e opportunità che consentono, da un lato, di migliorare la qualità della vita dei propri dipendenti badanti e, dall’altro, di sfruttare al meglio la leva fiscale che caratterizza alcuni strumenti. In questo senso ci poniamo sul mercato con un approccio che non ha precedenti e devo dire che ha pochi concorrenti.
Ci spieghi: sul mercato ci sono tanti operatori del welfare aziendale…
Ce ne sono tanti, sì, e sono anche buoni. Ma l’approccio prevalente è diverso dal nostro. Il 99% di questi soggetti vende prodotti o servizi, mentre noi adottiamo un metodo di lavoro che abbiamo definito ‘approccio comprensivo‘. Insomma, non vendiamo un prodotto assistenziale ma affianchiamo i direttori del personale con una pura attività consultivo. All’azienda che si rivolge a noi offriamo innanzitutto una valutazione assistenziale – in sintesi un’analisi – sui suoi bisogni e sul livello delle sue prestazioni assistenziali, evidenziando quali sono gli ambiti in cui può intervenire, anche sul tema della sostenibilità, per colmare eventuali bisogni scoperti dei lavoratori e delle loro famiglie e per identificare le lacune rispetto alle aziende che rappresentano le best practice del settore. A tal fine, possiamo solo considerare tutti gli strumenti del settore: formazione, sostegno al reddito, assistenza sanitaria integrativa, previdenza integrativa, ecc.
E le aziende lo seguono?
Direi che la sensibilità delle aziende verso le nostre richieste è direttamente proporzionale alla sensibilità che ha il direttore del personale su questi aspetti. Se comprende la portata dell’argomento, coglie immediatamente le opportunità di miglioramento che emergono dalla nostra valutazione e sviluppa un piano di comunicazione sensibilizzare i lavoratori sul percorso evolutivo del modello di welfare aziendale. In questo senso posso dire che abbiamo realizzato e spesso realizziamo una sorta di ruolo educativo E Informativo surrogazione… Ma spesso abbiamo avuto la fortuna di lavorare con professionisti pronti a nuove sfide.
Anche nelle piccole e medie imprese?
Forse meno che nelle aziende medio-grandi, eppure nel loro segmento c’è ancora molto da fare per diffondere sempre di più il verbo fruibilità concreta di strumenti di welfare tra i lavoratori delle piccole imprese sparse sul territorio, che costituiscono la maggior parte del nostro tessuto produttivo.
Ma non è facile avvicinarsi a questa vasta platea potenziale di utenti dei vostri servizi…
Avere tanti anni di esperienza nel mondo del welfare ci aiuta molto. Con alcune grandi aziende, abbiamo avuto iloccasione per conoscersi, è stato facile interagire. Stiamo cercando di trovare spazio per i più piccoli attraverso canali istituzionali, eventi, pubblicazioni e così via. E naturalmente i progetti di previdenza integrativa contrattuale. Abbiamo gradualmente sviluppato a rete di relazioni con aggregatori che amplificano le opportunità di diffusione del progetto anche nelle realtà più piccole.
Puoi farci qualche esempio?
Posso dirvi, ad esempio, che abbiamo sostenuto il progetto CFMT – Centro di formazione manageriale terziario, promosso da Confcommercio e ManagerItalia (la rappresentanza dei dirigenti del terziario, ndr), volto a creare una piattaforma di welfare per tutti i dirigenti di settore, cosa né facile né scontato se si considera che il terziario rappresenta una categoria ad alta frammentazione territoriale e articolazione dimensionale, quindi teoricamente difficile da intercettare per promuovere strumenti di welfare.
E nell’industria?
Abbiamo collaborato per creare una soluzione molto innovativo per il settore del tessile-abbigliamento, varando un modello che costituisce l’attuazione di un istituto previsto dal contratto nazionale di categoria, che ha introdotto un contributo a carico delle imprese di 24 euro annui per dipendente, con il quale Sanimoda è riuscita a costruire un modello integrato che fornisce copertura assicurativa su non autosufficienza, integrati da servizi di assistenza domiciliare e servizi di consulenza in materia socio-assistenziale e amministrativa. Un grande sostegno, economico, pratico e psicologico, per tutti i lavoratori del settore tessile.
Bene, hai incontrato manager intelligenti!
Direi di sì, nel caso appena citato i sindacati e gli imprenditori hanno subito colto l’enorme opportunità di dare un sostegno concreto e sostenibile a lavoratori e familiari di un intero comparto. Vorrei citare anche la sensibilità dimostrata dai rappresentanti di Federmanager Roma, promotori dell’originale progetto”Modello di Welfare dell’indagine”, che ha permesso di analizzare e confrontare i modelli di welfare di sei importanti aziende appartenenti a diversi settori industriali, misurando i principali bisogni rilevati, i relativi trend e le best practice adottate da alcune realtà. E poi ci sono molti casi individuali…
In quale, cosa hai fatto?
Nella nostra esperienza con le singole aziende ci siamo trovati di fronte a due diversi scenari.
Il caso delle aziende già dotate di un modello di welfare molto articolato e che abbiamo sostenuto nella comunicazione interna ed esterna, nel miglioramento dell’inclusività e della sostenibilità e nell’individuazione di ulteriori servizi innovativi per i dipendenti e le loro famiglie (come il welfare controllo personalizzato, servizi di telemedicina, assistenza socio-sanitaria, benessere psicologico, ecc.). In altri casi, la valutazione del welfare ha evidenziato la necessità di ottimizzare/riequilibrare il modello di welfare a favore di categorie di bisogni meno copertiper poi sviluppare progetti di comunicazione, inclusività e sostenibilità. In ogni caso, il punto di partenza è un’analisi approfondita di ciò che già esiste: conoscersi per migliorare.