di Cinzia Ficco
Vendere? Sarà sempre più roba da neuroscienziati. Per lanciare un prodotto, allestire una vetrina o uno scaffale, inviare una mail, creare un sito e non rischiare di fare un buco nell’acqua, gli imprenditori dovranno sempre più affidarsi a ricercatori e medici che da tempo studiano le nostre emozionii nostri desideri più nascosti.
Niente più istinto. Il nervo delle vendite nei prossimi anni sarà nel neuromarketing, una disciplina basata su evidenze scientifiche che, attraverso l’utilizzo di risonanza magnetica funzionale, elettroencefalogramma, eye-tracking, riconoscimento delle espressioni facciali e altri strumenti, è in grado di misurare le reazioni emotive a livello inconscio, innescate da uno stimolo. Che può essere un colore, una forma, un odore, un suono o il semplice riferimento a un territorio.
Il neuromarketing è, insomma, la scienza che spiega perché, di fronte a un nuovo sito, newsletter, oggetto o servizio, si tende a dire: “va bene, lo voglio, mi piace, mi serve” o, viceversa, avere la nausea. Dal momento che ne ha uno capacità predittivacioè in grado di anticipare se un’iniziativa colpirà nel segno o deluderà, è uno strumento fondamentale nelle mani dell’imprenditore.
“Sai perché il 50 percento dei lanci di nuovi prodotti nel nostro Paese fallisce? – lui chiede Giuliano Trento, ex ricercatore, oggi imprenditore con Neureexplore – Gli imprenditori, ancora oggi, spesso si affidano al proprio fiuto o assecondano le tendenze e i gusti espressi dai propri clienti. Al contrario, non sanno come funziona il circuito della ricompensa, non sanno, per esempio, che è il dopamina per spingerci all’acquisto. Non riescono a capire che per ottimizzare le loro decisioni devono cogliere il non detto, scoprire ciò che dà veramente piacere».
Insomma, ci stai dicendo che dovrebbero far sdraiare i consumatori su un divano e improvvisarsi psicanalisti? «Non proprio – risponde Trenti – Arrivare a scoprire perché, ad esempio, un prodotto viene scelto meno di quello dei suoi concorrenti, perché in tempi di scorrimento sul mio sito ci sono pochissime visualizzazioni, perché una campagna pubblicitaria non è stata ben accolta, perché il nuovo packaging porta delle perdite rispetto al vecchio packaging, basterebbero due accorgimenti: fatelo più spesso analisi e prove del neuromarketing e basandosi su studi che il settore accademico porta avanti da anni. Penso ai ricercatori dell’Università di Trento, Torino, IULM, Università Cattolica di Milano e Sapienza Università di Roma dove si studia la Neuroeconomia e si monitora l’attività cerebrale di campioni di consumatori, da cui numeri, dati oggettivi, che una buona il consulente può quindi decodificare e applicare al marketing».
Ma qual è la più grande scoperta di questa disciplina? «Rispetto al passato – risponde Francesco Galucci, direttore scientifico di Ainem e docente di Neuromarketing per il Design al Politecnico di Milano – sappiamo che la componente non consapevole della decisione può contare fino al 95%, mentre la parte razionale, ritenuta unica e determinante dal marketing tradizionale, si ferma al 5 %. COSÌ? L’applicazione del neuromarketing all’inizio del ciclo di vita di un prodotto o di una pubblicità contribuisce in modo decisivo ad aumentareefficacia della comunicazione, ridurre significativamente i costi di ricerca e sviluppo, migliorare il posizionamento dei marchi nella mente dei clienti e prevedere con largo anticipo le nuove tendenze nel comportamento delle persone. Ti faccio un esempio: secondo una stima di Nielsen A partire dal 2013, oltre il 70% dei nuovi prodotti lanciati ogni anno nel mondo vengono ritirati dal mercato perché inefficaci. Eppure, secondo i dati di Esomar, si investe sempre di più nelle ricerche di mercato per comprendere gli orientamenti e le preferenze dei clienti. La risposta a questo paradosso sta nella crescente difficoltà delle persone a fornire ragioni razionali alle proprie scelte. Ciò riduce la capacità predittiva delle metodologie di ricerca di mercato esplicite, cioè basate su interviste quantitative e anche qualitative. Il neuromarketing supera questo problema perché rileva direttamente e implicitamente le risposte cognitivo-emotive delle persone a stimoli rappresentati da prodotti, pubblicità o esperienze immersive negli acquisti o anche in ambienti digitali”.
Quali sono le percentuali di successo e quando si può parlare di risultati importanti? «L’esperienza che ho maturato in questi vent’anni di ricerca e consulenza – aggiunge il professore – mi permette di affermare che l’applicazione del neuromarketing all’inizio del processo di ideazione e prototipazione di prodotti, servizi e pubblicità può portare ad un incremento dal possibilità di successo il doppio o il triplo di qualsiasi altra ricerca di mercato. Per ottenere questi risultati, la ricerca di neuromarketing deve essere affidata a un esperto oa un’agenzia di ricerca di provata esperienza. La dimensione del campione su cui effettuare il/i test deve essere adeguata al raggiungimento degli obiettivi, la scelta delle tecnologie da utilizzare per raccogliere i dati è molto importante ed è un fattore qualificante della ricerca stessa. Infine, la qualità dell’analisi dei dati raccolti dipende dalla capacità e dall’esperienza dell’analista».
Facciamo finta di lanciare un nuovo profumo. Come ci muoviamo? «I fattori da analizzare con il neuromarketing – risponde Gallucci – sono soprattutto la percezione dell’aroma misurata con l’elettroencefalogramma e il GSR, che rileva gli effetti emotivi su tutto l’organismo. Se la tua ricerca lo richiede, puoi usare iltracciamento oculare con l’eeg per analizzare l’efficacia del packaging, confrontando, ad esempio, diversi mockup e verificando le preferenze implicite dei clienti».
Quanto è conosciuto il neuromarketing in Italia? «Ha festeggiato i suoi primi 20 anni di vita nell’ottobre 2022 – ci informa Caterina Garofalopresidente di Ainem e docente di Neuromarketing allo IusTo di Torino – L’Italia è stata tra i primi paesi al mondo ad adottarlo grazie a Francesco Gallucci, uno dei pionieri in Europa ad utilizzare eyetracking ed elettroencefalogramma per misurare l’efficacia della pubblicità nel 2004. Un altro pioniere, soprattutto a livello accademico, è stato Fabio Babiloni, professore alla Sapienza Università di Roma, al quale si devono i primi studi effettuati con la risonanza magnetica funzionale. Oggi alcuni grandi marchi italiani, soprattutto nel settore dei beni di consumo, si avvalgono della ricerca di neuromarketing per migliorare le performance dei loro prodotti e l’efficacia della loro pubblicità. Il trend di diffusione è positivo, ma siamo più lenti ad adottare il neuromarketing rispetto ai principali Paesi anglosassoni perché in Italia ci sono meno grandi brand capaci di investire in ricerche di mercato innovative. Ma le aziende, anche medio-piccole, stanno scoprendo i grandi vantaggi offerti dal neuromarketing. Ormai quasi tutti settori di mercato lo stanno usando. In particolare: food&beverage, e-commerce e web marketing, retail, fashion e subito dopo digital tourism, banking, finance, energy. Come Ainem, stiamo gestendo un progetto, l’Academy, che sarà dedicato non solo al neuromarketing, ma a tutto lo spettro delle neuroscienze applicate al sociale, alle organizzazioni e al business».