L’Italia ha un vantaggio competitivo in campo nucleare, ed è pronta a sfruttarlo nel caso in cui l’Europa decidesse di abbandonare le remore e di puntare con decisione su questa fonte energetica che non emette Co2. Il comparto della componentistica in pressione italiana, che produce i componenti in acciaio forgiato dei reattori, rappresenta infatti il 70% delle capacità manifatturiere europee in campo nucleare. «Le aziende tier 1 sono disponibili ad aiutare le tier 2 a diventare anche loro 1 in breve tempo» spiega in questa intervista a Economy Paolo Fedeli, Presidente di Aipe, l’Associazione Italiana Pressure Equipment.
Perché questa capacità produttiva specifica è così poco conosciuta?
Spesso ci concentriamo sulle grandi acciaierie di prodotti laminati come l’Ilva di Taranto, ma ci dimentichiamo che la bergamasca, il bresciano, il vicentino producono più dell’80% dell’acciaio forgiato in Europa. Anelli, piastre, tutte sub componenti che sono l’essenza della componentistica nucleare. Molte aziende italiane, come quella che gestisco e altre, hanno continuato, nucleare a parte, a fabbricare apparecchi in altri settori merceologici, come quello dei fertilizzanti, della chimica complessa, che hanno le stesse difficoltà tecnologiche della componentistica nucleare, anche se requisiti dal punto di vista di calcolo e normativo diversi, ma dal punto di vista industriale sono la stessa tipologia di lavorazioni.
Come si spiega questo percorso alla luce del referendum?
Dal 1986 in Italia non sono state fatte centrali nucleari, ma siamo stati l’unico Paese che ha mantenuto una filiera della componentistica industriale in pressione in Europa, salvo i francesi principalmente per la parte nucleare, con quasi tutta la filiera controllata dall’Edf, l’ente elettrico statale, quindi una catena del valore interna; la Germania l’ha dismessa quasi nella totalità. I componentisti italiani, pur non afferenti a nessuna catena del valore specifica come quella francese, rappresentano più del 70% delle capacità industriali libere, cioè disponibili a inseguire opportunità sul mercato libero, qualora questo settore potesse svilupparsi in Europa nella forma in cui i principali tecnologi che hanno presentato i loro programmi durante il nostro convegno facessero quel che hanno proiettato. Una parte di questo 70% della capacità europea è plug & play.
Qualche nome delle aziende?
Costruttori come Atb Riva Calzoni, Belleli energy, Mangiarotti, Officine Luigi Resta, Simic, Stf Loterios, Walter Tosto; forge e acciaierie come Csc, Dillinger Italia, Ferrari Flange, Foc, Fomas, Giva Group, Ibf Group, Industeel Italia, Monchieri, Morandini, Tectubi Raccordi, Valbruna, Voest Italia. Una base industriale enorme di aziende che negli ultimi 15 anni hanno lavorato in modo costante sul settore nucleare, sia sulla fissione che sulla fusione, ma soprattutto sulla fusione: in particolare al programma Iter, International Thermonuclear Experimental Reactor, cui tutti i costruttori hanno lavorato a vario titolo, e anche tutti i forgiatori.
Come sfruttare al meglio questa opportunità?
Abbiamo come Aipe un tier 1 e un tier 2 di aziende, alcune già molto sviluppate e avanzate, altre meno; se il rollout nucleare segue le dimensioni che i grandi operatori ci hanno prospettato, noi tear 1 siamo disponibili a fare da catalizzatori della capacità dei tier 2 di ambire nel minor tempo possibile a diventare tear 1. Possiamo accorciare il processo di inserimento nucleare da 10-15 anni, solitamente il tempo minimo, fare una specie di inserimento forzato spiegando quali sono le caratteristiche necessarie per fabbricare componentistica nucleare, cioè in sintesi qualità e tracciabilità estreme.