Colombani, lei è il segretario generale della Prima Cisl, e quindi è tra i firmatari della piattaforma sindacale per il rinnovo del contratto di lavoro di categoria, che chiede un aumento mensile lordo di 435 euro e un taglio dell’orario di lavoro : noi clienti bancari siamo contenti perché se le banche sono in grado di supportare questo tipo di richiesta è un buon segno, segno che sono in buona salute. Ma…sicuro di non esagerare con le richieste?
Sì, le banche italiane sono molto sane – risponde Riccardo Colombani, segretario generale della federazione CISL che rappresenta i lavoratori del credito, delle assicurazioni, dell’Agenzia delle Entrate Riscossione, della Banca d’Italia e delle autorità indipendenti. Inoltre, la piattaforma da lei citata è stata, sì, approvata dalle segreterie generale e nazionale ma deve ancora essere approvata dalle assemblee dei lavoratori. Tuttavia, le richieste sono dal punto di vista di un approccio multi-stakeholder…
Significa cosa?
Ovvero un approccio che tenga conto degli interessi di tutti e che preveda una giusta ed equa distribuzione del valore per tutti gli stakeholder e quindi anche per i lavoratori che rappresentiamo. Riteniamo però, come organizzazione confederale, che ci debba essere una distribuzione del valore anche per i clienti delle banche e soprattutto per i risparmiatori. Basti pensare che molte centinaia di miliardi di euro sono depositati in conti correnti bancari, le ultime indicazioni della Banca d’Italia ci parlano di quasi 1.200 miliardi di euro.
Beh, sono al sicuro, non credi?
Il sistema è indubbiamente solido e al riparo da crisi sistemiche. La situazione è molto stabile, non solo dal punto di vista patrimoniale, adeguato ai rischi monitorati dalla Banca Centrale Europea e dalla Banca d’Italia, ma anche da quello della liquidità. Tra l’altro, le maggiori banche italiane, le cosiddette ‘rilevanti’, sono monitorate direttamente dalla Banca Centrale Europea e hanno una posizione migliore rispetto alle controparti francesi e tedesche.
E quindi, visto che le banche sono solide e quei soldi oggi costano tanto – tanto che a chi chiede un mutuo se li offre al tasso del 6/7% – perché quei 1.200 miliardi che, come lei ci ha ricordato, sono in corso conti di banche e poste, non sono remunerati? Era comprensibile quando i soldi costavano poco, ma adesso?
Credo sia necessario tornare a una certa remunerazione dei conti, proprio nell’ottica di garantire stabilità allo stesso sistema bancario. Lo dimostra chiaramente il net stable funding ratio, ossia l’indicatore dell’ammontare dei depositi stabili. La remunerazione dei depositi garantirebbe questa stabilità più a lungo. Inoltre, la Banca d’Italia, con una comunicazione abbastanza recente del 15 febbraio, ha intimato alle banche di evitare l’aumento dei costi bancari giustificati dall’aumento dell’inflazione, perché il rialzo dei tassi di interesse deciso dalla Banca Centrale dell’Unione Europea per contenere l’inflazione avrà l’effetto collaterale di garantire sicuramente un aumento della redditività complessiva. Quindi è incomprensibile che non solo non si alzino i tassi di interesse sui depositi, ma si aggravino addirittura i costi di mantenimento dei conti correnti bancari.
Bene, la Banca d’Italia si è espressa, bene!
E è stata encomiabile, inoltre ha il dovere da un lato di tutelare l’appaltatore più debole che è il risparmiatore, e dall’altro di garantire la correttezza dei comportamenti degli operatori. Le banche hanno la possibilità di utilizzare la leva dei costi ei clienti la possibilità di rescindere il contratto senza oneri in un certo lasso di tempo. In realtà, a nostro avviso, c’è nel sistema un approccio politico di fondo che non ci convince affatto e che può essere fonte di instabilità, se non nel breve termine, nel lungo periodo: consiste nel considerare il capitale come unico elemento di cui i top manager devono prendersi cura, indirizzando tutti i loro sforzi alla remunerazione degli azionisti. Il fatto che troppo spesso in banca esista l’unico principio di valorizzazione degli interessi dell’azionista è palesemente in contrasto con tutti i criteri di sostenibilità, i famosi criteri ESG.
E cosa si dovrebbe fare invece?
Al di là della redistribuzione del valore tra i vari stakeholders, lavoratori e risparmiatori – e noi faremo la nostra parte nel contratto e nei contratti che seguiremo nel tempo – servono altri elementi fondamentali per ribaltare questo approccio politico. La politica – cioè le istituzioni – devono interessarsi alla questione bancaria, non solo quando ci sono crisi bancarie, ma cercare di prevenirle.
Come?
Sicuramente favorendo la biodiversità bancaria, dal punto di vista dimensionale e della natura del capitale. Servono grandi banche, come le abbiamo, ma servono anche banche piccole e medie che preservino la territorialità di un servizio essenziale. La territorialità serve anche a prevenire fenomeni di banking run, come è avvenuto, ad esempio, con le banche semi-digitali come la Silicon Valley Bank, dove ovviamente le start up tecnologiche hanno ritirato i loro depositi. La prossimità fisica alimenta quindi in modo virtuoso la fiducia dei risparmiatori nelle banche. È quindi necessario preservare la biodiversità da questo punto di vista, e anche dal punto di vista della natura del capitale. Ormai il sistema bancario è quasi del tutto privato, ma abbiamo banche pubbliche che lo sono diventate per necessità e credo che questo governo, che si immagina un governo di legislatura, dovrebbe investire in Banca Popolare di Bari e Cassa di Risparmio di Orvieto per realizzare il progetto della banca d’affari per il Mezzogiorno. Inoltre non possiamo sperperare il valore della banca più antica del mondo, mi riferisco al Monte dei Paschi di Siena. Credo anche che servano incentivi per attrarre capitali pazienti che permangono a lungo negli asset delle banche.
Tutto questo però non basta senza qualcosa di nuovo che permetta al risparmio delle famiglie di finanziare l’economia produttiva senza rischiare il collo.
Abbiamo avanzato la proposta del Fondo Nazionale per gli Investimenti nell’economia reale, per la quale servono modelli di servizio e di investimento diversi rispetto a quelli attuali, modelli di servizio su base autonoma. E credo che la creazione di questo fondo sovrano possa servire anche alla trasformazione ecologica dei sistemi produttivi del nostro Paese. Abbiamo fatto questa proposta e dopo pochi mesi è avvenuta la proposta della Presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, per un fondo sovrano a livello di Unione e questo ci conforta, perché anche lo strumento ipotizzato da Bruxelles è finalizzata alla trasformazione ecologica dei sistemi di produzione degli Stati membri. Credo che serva davvero un approccio politico completamente diverso da quello attuale per permettere al nostro Paese di crescere a lungo e bene, ma soprattutto di crescere in modo inclusivo.