CECILIA SALA GIORNALISTA IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIORGIA MELONI

di Giuseppe Fornari, penalista e fondatore dello Studio legale Fornari e Associati

Cecilia Sala, arrestata il 19 dicembre a Teheran e da allora detenuta nel carcere di Evin, è stata liberata. Alla bella notizia farà certamente seguito uno spostamento del baricentro dell’attenzione mediatica sul correlato procedimento di estradizione nei confronti dell’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, dai cui sviluppi potrebbero affiorare delle tracce sulle dinamiche della negoziazione che avrebbe condotto alla liberazione della nostra concittadina.

Ferma la soggezione alla sola legge dei giudici chiamati a pronunciarsi sul caso di Abedini – come noto arrestato il 16 dicembre a Malpensa su richiesta degli Stati Uniti – di una tale mediazione potrebbe invero essere spia un eventuale intervento del Ministro Carlo Nordio, che potrebbe peraltro concretizzarsi, nel contesto dell’iter estradizionale, in due differenti momenti: (i) sin dalla fase cautelare; (ii) in esito a un’eventuale decisione giurisdizionale di concessione dell’estradizione. (i) Sotto il primo profilo, è utile ricordare che tra una settimana – il 15 gennaio – la Corte di Appello di Milano dovrà pronunciarsi in ordine alla richiesta di arresti domiciliari avanzata dalla difesa di Abedini, su cui la Procura Generale ha espresso un parere negativo non vincolante, e che, laddove la Corte di Appello ritenesse di non dover modificare la misura della custodia cautelare in carcere ad oggi applicata, il Ministro ha il potere di revocarla: ai sensi dell’art. 718, co. 2, c.p.p., invero, “la revoca è sempre disposta se il Ministro della giustizia ne fa richiesta”. Già un tale intervento, pur non direttamente connesso alla richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti, potrebbe rappresentare un indice di un pregresso “accordo”. Infatti, si deve considerare che la fisica disponibilità dell’estradando da parte dello Stato richiesto è “il primo ed essenziale presupposto dell’estradizione, in difetto del quale il procedimento sarebbe privo del suo oggetto tipico e la relativa decisione inutiliter data” (tra tante, Cass. pen., sez. VI, n. 44465/2001). Il cittadino iraniano, lasciando il territorio nazionale, farebbe venir meno il procedimento di estradizione.

Non si può non considerare, peraltro, che una tale decisione del Ministro si discosterebbe significativamente dalla linea di azione privilegiata dal Dottor Carlo Nordio in altra vicenda di cooperazione internazionale. Ricordo, infatti, che lo stesso Ministro, nel caso del cittadino russo Artem Uss, pure oggetto di una richiesta di estradizione da parte degli Usa, non solo non aveva fatto ricorso al potere conferitogli dall’art. 718 c.p.p., ma al contrario aveva disposto un procedimento disciplinare nei confronti dei giudici della Corte di Appello (proprio di Milano), “colpevoli” di aver posto agli arresti domiciliari il figlio dell’oligarca vicino al presidente Putin, così di fatto consentendone la fuga. (ii) Sotto il secondo profilo, se la Corte di Appello di Milano dovesse garantire l’estradizione del cittadino iraniano, ritengo scontato che il difensore presenterà appello, che si svolgerebbe dinnanzi alla Corte di cassazione. Se anche la Suprema Corte dovesse condividere tale decisione, si concluderebbe – con esito positivo per lo Stato richiedente – la cosiddetta fase giurisdizionale.

Tale fase non concluderebbe tuttavia il procedimento di estradizione, che presenta infatti una fase amministrativa di chiusura, riservata al potere politico (analogamente a quanto previsto in molte altre giurisdizioni). Ai sensi dell’art. 708 c.p.p., spetta infatti al Ministero decidere in merito all’estradizione (entro quarantacinque giorni dal deposito della sentenza della Corte di cassazione). Anche in questo caso, quindi, il Ministero, con una decisione evidentemente di natura politica, potrebbe impedire la consegna del cittadino iraniano alle autorità americane.

Al contrario, nessuna indicazione potrebbe a mio giudizio essere desunta da una decisione della Corte di Appello di Milano di rilasciare il cittadino iraniano prima, o di rigettare la richiesta di estradizione statunitense poi. In uno stato di diritto, fondato sul principio di separazione tra poteri, i giudici sono soggetti solamente alla legge. È un principio che non dobbiamo dimenticare, e che in una vicenda come questa segna una profonda distanza tra gli ordinamenti democratici e le autocrazie.

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