Di più trasparenza sullo stipendio E lotta contro il divario retributivo di genere.
La scorsa settimana, il Parlamento europeo ha infatti deciso di chiedere la fine del “segreto salariale” negli annunci di lavoro, una tendenza che è diventata una pratica negli ultimi anni, approvando la direttiva sulla trasparenza salariale proposto dalla Commissione ormai più di due anni fa. Più precisamente, nel marzo 2021.
Ecco i dettagli e le novità che verranno introdotte.
La direttiva Ue a tutela dei lavoratori: basta discriminazioni e segreto salariale
Basta con il “segreto salariale”
La novità principale è contenuta nell’articolo 5 del documento, che prevede l’obbligo per le imprese di “individuare il livello salariale iniziale o la relativa fascia da corrispondere al lavoratore per una specifica posizione o mansione”.
Un’informazione che dovrà essere già previsto nell’annuncio di lavoro o, al più tardi, durante il primo colloquio, “senza che il candidato lo chieda”.
La direttiva è stata approvata dall’Eurocamera a larghissima maggioranza: 427 voti a favore, 76 astenuti e 79 contrari. A questo punto, solo il via libera definitiva del Consiglio, che dovrà accettare formalmente il testo approvato durante la mini-plenaria di Bruxelles. Una volta che la direttiva entrerà nella Gazzetta ufficiale, i paesi membri avranno tre anni per attuarla.
Misure per contrastare il gender pay gap
Oltre al cosiddetto “segreto retributivo”, il testo approvato dall’Eurocamera affronta anche il tema del divario retributivo di generecioè il differenza tra le retribuzioni percepite da uomini e donne per la stessa mansione lavorativa.
Infatti, secondo gli ultimi dati Eurostat per il 2021, le donne in Europa guadagnano in media il 12,7% in meno degli uomini, con differenze sostanziali tra i paesi: dal 20,5% dell’Estonia al 5% dell’Italia. Senza considerare il problema della precarietà nel mondo del lavoro.
La direttiva stabilisce che i livelli salariali di un’azienda e gli annunci per l’apertura di nuove posizioni sono genere neutro. I lavoratori e le lavoratrici potranno accedere ai dati aggregati per genere sulle retribuzioni per conoscere i criteri di eventuali aumenti salariali, che dovranno essere neutrali rispetto al genere.
Non solo: Oogni azienda con più di 100 dipendenti dovrà farlo correggere eventuali disuguaglianze salariali se superano il 5% senza alcuna giustificazione. Il testo approvato dal Parlamento europeo non prevede sanzioni specifiche, ma delega ai singoli Stati la possibilità di introdurre sanzioni pecuniarie”proporzionato e dissuasivo”, come le multe, per i datori di lavoro che violano le regole. Avranno lavoratori e lavoratori diritto al risarcimento se le aziende non rispettano le misure sulla trasparenza e sulla parità retributiva.
La trasparenza retributiva è un tema sempre più discusso negli ultimi anni. La tendenza è iniziata negli Stati Uniti, dove grandi aziende come Alphabet e IBM hanno iniziato a rendere esplicito nei loro annunci di lavoro lo stipendio previsto dei candidati. L’anno scorso, il Colorado e New York sono stati i primi due stati degli Stati Uniti a introdurre tale requisito per le imprese. E, secondo il New York Times, alla lista potrebbero presto aggiungersi la California e lo stato di Washington. In Italia tuttavia la strada è ancora molto lunga: solo un annuncio su dieci indica la retribuzione offerta ai potenziali futuri dipendenti. In Francia raggiunge il 33% mentre nel Regno Unito quasi uno su due (49%).
L’onere della prova passa al datore di lavoro
Oltre al diritto di conoscere il livello retributivo nell’annuncio o durante il primo colloquio di lavoro e di non essere discriminato nelle assunzioni e nella retribuzione in base al genere, la nuova direttiva europea ha introdotto anche altre due novità. La prima è che, nelle controversie legali, l’onere della prova passerà dal lavoratore al datore di lavoro. In altre parole, se un lavoratore ritiene che il principio della parità retributiva non sia stato applicato, sarà l’azienda a dover dimostrare che non vi è stata discriminazione.
Smettila di richiedere la busta paga “precedente”.
Inoltre, l’articolo 5 della direttiva stabilisce il divieto per i datori di lavoro di chiedere al candidato informazioni sulla retribuzione da lui percepita nelle precedenti mansioni.
Lo ricordiamo la legge vieta già ai reclutatori di chiedere qualsiasi cosa che possa portare a discriminazioni durante il colloquio per motivi di religione, convinzioni personali, disabilità, età, orientamento sessuale, genere, riferimenti allo stato civile, familiare o di gravidanza e salute fisica o psichica. “Sei sposato o convivente?”, “Hai intenzione di avere figli?”, “Chi si prenderà cura di loro mentre sei al lavoro?” sono le domande illegali più frequenti solitamente rivolte alle donne, soprattutto se in età fertile.
Di fronte a queste domande inopportune dal punto di vista professionale, la legge viene in soccorso: ad esempio, ilarte. 27 del Codice delle Pari Opportunità tra uomini e donne – Il D.Lgs. 198/2006 specifica come sono è vietata la discriminazione fondata sul sesso ai fini dell’assunzioneimplementato anche”mediante riferimento allo stato civile o di famiglia o alla gravidanza”.
Ancora più chiaramente articolo 8 dello statuto dei lavoratori vieta”il datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, nonché durante l’espletamento del rapporto di lavoro, di compiere accertamenti, anche per interposta persona, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore”.
Se ricevi domande sulla tua ideologia politica, fede religiosa e nazionalità, tuttavia, dovresti fare appello al Decreto Legislativo 215/2003 – Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento delle persone indipendentemente dall’origine etnica.
IL Decreto Legislativo 216/2003 vieta espressamente la discriminazione per motivi di religione, convinzioni personali, disabilità, età e orientamento sessuale.
Infine il D.Lgs. 276/03 tutela dalle discriminazioni legate alla salute fisica e psichica del candidato.
Di fronte a una domanda illegale posta direttamente, può essere difficile rifiutarsi di rispondere direttamente, ma è possibile segnalare l’incidente più tardi gratuitamente alle Assessore alla Parità del proprio territorio, come previsto dal D.Lgs. 198/06, o presso i vari sportelli delle associazioni che si occupano di donne e diritti negati diffuse in tutta Italia.