C’è Bluebell Capital Partners, che ha presentato denuncia alla Consob dopo l’ingresso di Anima nel capitale del Monte dei Paschi di Siena, e che ha pressato Danone fino alle dimissioni dell’amministratore delegato Emmanuel Faber. C’è Trian Partners, che dopo aver “incrociato le braccia” con Procter & Gamble e General Electric, si è scagliata contro i vertici Disney. C’è Elliott Management, che ha acquistato una partecipazione azionaria multimiliardaria nel pioniere del software aziendale Salesforce. E in nessuno di questi casi si tratta di diversificazione di portafoglio, ma di fondi attivisti, quei fondi che operano con l’intento di stimolare le società quotate a massimizzare i profitti, anche incidendo sulla governance. Il che non è necessariamente un male. Al contrario: «Nella migliore delle ipotesi, gli investitori attivisti evidenziano aree di sottoperformance di società che stanno riducendo il valore a lungo termine per gli azionisti», spiega a Economy Malcom McKenzieResponsabile dei servizi di trasformazione aziendale europea di Alvarez & Marsaluna società di consulenza che con il suo “AAA” – A&M Activist Alert – monitora l’operato dei fondi attivisti.
«Gli investitori e i clienti guardano sempre più alla sostenibilità a lungo termine dei modelli di business come un fattore chiave di valore per gli azionisti a lungo termine, e quindi un attivista che, come terza parte, evidenzia i punti deboli dal punto di vista della sostenibilità può rappresentare un’opportunità per aumentare il valore».
Cosa prevede per il 2023?
Una nuova ondata di attivismo azionario in tutta Europa. Abbiamo identificato un totale di 144 aziende europee a rischio di attacchi da parte di fondi attivisti nei prossimi 18 mesi. Questo exploit arriva dopo aver osservato un costante aumento del numero di fondi che utilizzano strategie di attivismo nell’UE per tutto il 2022. Oggi A&M sta monitorando 96 fondi di attivisti, rispetto ai 93 del 2021 e agli 89 del 2020, segno che gli attivisti e le loro tattiche stanno diventando sempre più frequenti in tutta Europa. Nel 2022 si registra un incremento delle campagne incentrate sull’ambiente e sul sociale, aumentate rispettivamente del 22% e del 14% rispetto all’anno precedente.
Quindi i fondi attivisti possono rivelarsi promotori per il perseguimento di fini nobili, puntando al ritorno sull’investimento?
Sì, è sicuramente possibile. Il criterio chiave è se gli obiettivi sociali possono evidenziare i rischi o gli svantaggi competitivi esistenti e quindi generare un maggiore valore per gli azionisti. Il settore dei consumi è un ottimo esempio di come la consapevolezza e l’attivismo sociale possano esporre debolezze che danneggiano sia gli azionisti che la società in generale. Le catene di approvvigionamento non etiche rischiano di essere esposte pubblicamente con conseguenti danni alle aziende, ai loro marchi e ai loro azionisti. Fare la “cosa giusta” è sempre più la cosa giusta dal punto di vista sociale, ambientale e finanziario.
Il mercato italiano, caratterizzato da piccole imprese piuttosto che da grandi aziende, è in qualche modo al riparo dai fondi attivisti?
La capitalizzazione di mercato media delle società europee prese di mira dagli attivisti è aumentata e si è attestata a 18,8 miliardi di euro nel 2021/22. La capitalizzazione media delle società italiane prese di mira nel 2021/22 è stata di 11,1 miliardi di euro, il che dimostra che, in generale, i maggiori fondi saranno concentrati altrove. Tuttavia, le aziende italiane non devono sentirsi al sicuro dall’attivismo. I fondi attivisti di medie o piccole dimensioni concentreranno maggiormente la loro attenzione laddove i loro pari più grandi non lo fanno. Se individuano preziose opportunità nelle aziende italiane e pensano di avere davanti a sé una strada verso il successo, scioperano. Per quanto riguarda l’attivismo incentrato sui fattori ESG, i dati mostrano che, di tutte le aziende italiane prese di mira dagli attivisti nel 2021/22, il 13% ha affrontato richieste relative ai fattori ESG. Questa cifra si confronta con il 34% di tutti gli obiettivi europei. Di conseguenza, è chiaro che le aziende italiane hanno meno probabilità di essere prese di mira in termini di sostenibilità, ma ugualmente più probabilità di essere prese di mira per quanto riguarda le sfide finanziarie/operative.
L’articolo Se la speculazione sposa una buona causa Da Rivista di economia.